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Niente mascherine per la madre, nessuna raccolta di Dna o sangue del neonato, divieto assoluto di vaccini, tamponi o terapie senza consenso esplicito dei genitori: sono questi i contenuti delle cosiddette “Diffide Culla”, inviate da un’avvocata mantovana, Camilla Signorini, a numerosi ospedali italiani per conto di futuri genitori. Le lettere, che minacciano richieste di risarcimento fino a 100mila euro in caso di inosservanza, hanno sollevato un’ondata di polemiche e preoccupazioni tra gli operatori sanitari.
Ora l’avvocata è finita al centro di un’inchiesta penale: la Società Italiana di Neonatologia, con il supporto della Società Italiana di Pediatria, ha presentato denunce in sette procure, tra cui Torino, Milano, Mantova, Lodi, Brescia, Rimini e Roma. I reati ipotizzati vanno dall’esercizio abusivo della professione medica alla truffa, dalla diffusione di notizie false al procurato allarme.
Una di queste diffide è arrivata anche all’ospedale Sant’Anna di Torino, inviata da una coppia residente in città. Secondo i neonatologi, le richieste contenute nei documenti non solo veicolano informazioni scorrette, ma rischiano di compromettere l’assistenza medica ai neonati. Tra i punti più critici, il divieto di somministrare vitamina K, fondamentale per prevenire emorragie nei primi giorni di vita, e l’opposizione alla terapia preventiva contro il virus respiratorio sinciziale, responsabile di infezioni potenzialmente gravi.
Le società scientifiche coinvolte hanno incaricato l’avvocato Riccardo Salomone del foro di Torino di seguire la vicenda giudiziaria. Intanto, cresce la preoccupazione tra i medici: “Imporre simili divieti – avvertono – può mettere a rischio la salute dei neonati e paralizzare l’azione clinica per timore di contenziosi”.