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La Corte d’appello di Torino ha annullato le condanne inflitte in primo grado nell’ambito del caso Finpiemonte, tra cui quella a carico di Fabrizio Gatti, ex presidente della società partecipata regionale. I giudici hanno stabilito che Gatti non aveva un controllo diretto sui fondi aziendali e che l’accesso al denaro sarebbe stato possibile solo tramite documentazione falsificata. Per questo motivo, il reato di peculato è stato escluso, mentre l’ipotesi ritenuta più corretta è quella di truffa aggravata. Tuttavia, il reato risulta ormai prescritto.
Le motivazioni della sentenza, depositate lo scorso 28 marzo, ribaltano completamente il verdetto del tribunale di primo grado, che aveva condannato Gatti a sette anni e sei mesi per l’utilizzo illecito di circa sei milioni di euro.
Secondo l’accusa, i fondi sarebbero stati dirottati verso un conto aperto presso la banca svizzera Vontobel, per poi essere utilizzati da una società immobiliare riconducibile allo stesso Gatti. Ma per i giudici d’appello, le somme sarebbero state movimentate solo grazie a un complesso sistema di falsificazioni: una procura apocrifa, una delibera inesistente del consiglio di amministrazione e il cosiddetto “lombard loan”, strumenti messi in campo per raggirare i controlli.
Durante il processo, Gatti ha sempre negato di aver autorizzato i bonifici, sostenendo che la sua firma fosse stata falsificata. Una versione che il tribunale di primo grado non aveva accolto, ma che ora passa in secondo piano. La Corte osserva infatti che “le disposizioni di bonifico furono eseguibili solo grazie a una falsa documentazione”, e dunque l’effettiva volontà di Gatti diventa irrilevante ai fini del reato contestato.
Oltre all’assoluzione, la Corte ha disposto il trasferimento degli atti alla procura di Roma, ritenuta territorialmente competente. Tuttavia, i fatti risalgono al periodo 2015–2017, e anche l’ipotesi di truffa non potrà più essere perseguita per intervenuta prescrizione.