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VOLPIANO - Non può essere considerato un reato di “particolare tenuità” l’accesso abusivo al sistema informatico commesso da un agente della polizia municipale di Volpiano per favorire un presunto affiliato alla ’ndrangheta. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, annullando la sentenza con cui la Corte d’appello di Torino, nell’ottobre 2024, aveva assolto il vigile.
Il caso sarà ora riesaminato da un nuovo collegio, che dovrà valutare la condotta tenendo conto della relazione tra l’agente e il soggetto coinvolto, della gravità del reato e dell’abuso della funzione pubblica.
Il contesto: l’inchiesta “Platinum”
L’episodio si inserisce nel maxi-processo nato dall’indagine “Platinum”, che ha messo in luce l’espansione della ’ndrangheta nel Nord-Ovest italiano. A Volpiano, comune di 15.000 abitanti alle porte di Torino, gli inquirenti sospettano la presenza di una vera e propria “locale” della criminalità organizzata.
Secondo gli investigatori, il presunto affiliato — poi condannato in via definitiva per associazione mafiosa — avrebbe chiesto al vigile informazioni sull’indirizzo di un ex comandante con cui aveva un contenzioso economico. L’agente avrebbe ottenuto il dato contattando un’impiegata dell’anagrafe, fingendo un’altra ragione, e lo avrebbe poi comunicato al richiedente.
La decisione della Cassazione
Accogliendo il ricorso della Procura generale, la Cassazione ha definito “contraddittoria” la sentenza di assoluzione della Corte d’appello. I giudici di secondo grado, infatti, avevano riconosciuto la gravità dei fatti, ma li avevano comunque derubricati a “fatto tenue”, sostenendo che chiunque può ottenere un certificato di residenza pagando una tassa.
Ma, come sottolineato dalla Cassazione, l’accesso ai dati anagrafici è soggetto a regole precise, motivazioni documentate e procedure formali. Il problema, quindi, non è la disponibilità dell’informazione, ma l’elusione delle regole per ottenerla.
Prosegue il procedimento
L’agente era già stato prosciolto da una parallela accusa di abuso d’ufficio, depenalizzata nel frattempo. Resta però in piedi l’accusa di accesso abusivo a sistema informatico, per cui il procedimento dovrà ora riprendere in appello.